lunedì 28 novembre 2011

Tunisia: prima riunione nuova Assemblea Costituente

Martedì 22 Novembre 2011

(ANSA) - TUNISI, 22 NOV - Con il canto dell'inno nazionale, i 217 deputati eletti hanno aperto i lavori della prima seduta dell'Assemblea Costituente in Tunisia. La riunione si svolge nella sede del vecchio parlamento nel palazzo del Bardo, periferia nord di Tunisi, davanti al quale centinaia di persone stanno manifestando chiedendo la dissoluzione del nuovo governo (non ancora formato) guidato da islamici Ennahdha.

Le città viste dallo sport: Buenos Aires


Un viaggio in quattro capitali dello sport mondiale, raccontate attraverso i loro campioni, la loro storia e cultura sportiva. Lo sport inteso non solo come attività agonistica ma anche come strumento di solidarietà e di coesione sociale, di cultura.
Si parte il 30 novembre alle ore 17 con Buenos Aires, la capitale argentina, i suoi campioni e tanti amici della Corsa di Miguel

martedì 22 novembre 2011

Tunisia, accordo sui vertici che guideranno il Paese

Tunisia, Martedì 22 Novembre - E' stato definito l’accordo sull’incarico alle 3 principali cariche dello Stato. Lo ha annunciato il partito islamico EnnahDa.

Hamadi Jebali, Segretario Generale della formazione islamica, sarà il Primo ministro del futuro Governo di coalizione con i partiti di sinistra Ettakatol e il Congresso per la Repubblica.

Per l’incarico di Capo dello Stato, figura eminentemente simbolica, è stato scelto Moncef Marzouki, vecchio oppositore del regime di Ben Alì e già leader della sinistra nazionalista.

Portavoce dell’Assemblea Costituente, che avrà il compito di scrivere la carta costituzionale e si è riunita per la prima volta, sarà Ben Jaafar, 71 anni, che pure vanta un passato nell’opposizione al regime e da leader della sinistra di Ettakatol.

giovedì 17 novembre 2011

AFFARITALIANI.IT

COOL-TURA
Dalla politica al sociale, il Coup d'etat delle donne


Giovedì, 17 novembre 2011 - 10:00:00
di Virginia Perini

Anna Maria Cancellieri ministro degli Interni, Paola Severino della Giustizia e Elsa Fornero del Welfare. Tre donne in tre posti chiave del nuovo governo Monti. Anche il Nobel per la pace è stato assegnato a tre donne: la presidente della liberia Ellen Johnsonn Sirleaf, la connazionale Leymah Gbowee che lanciò una mobilitazione femminile contro la guerra civile, e l'attivista yemenita per la democrazia Tawakkul Karman.
Ma non è tutto. Anche l'arte celebra le donne. Vittorio Sgarbi porta nelle librerie Piene di grazia, i volti della donna nell'arte e le artiste Fabrice Sabre e Aurelien Nougier realizzano il progetto fotografico Coup d’état dames (Colpo di stato donne) in cui rappresentano delle ragazze giganti bellissime e guerriere che fanno la rivoluzione in bikini. Le immagini sono pubblicate sul sito degli artisti indipendenti Ufunk.net.
Quindi non solo belle. Non solo intelligenti. Le donne sono anche delle ottime guerriere. Il femminile nelle rivoluzioni (violente o pacifiche) è al centro del pensiero della scrittrice e storica Daniela Bini e della giornalista Ilaria Guidantoni. La loro riflessione parte dalla storia: il fenomeno del terrorismo ha visto le donne protagoniste come braccio armato; altre esperienze come la rivoluzione tunisina le ha viste come ancelle di pace in funzione di sedatrici della rivolta del sangue ma fortemente battagliere come e più degli uomini per certi versi all'interno di un'ambiguità che racconta la complessità del femminile e delle donne.
Anna Maria Cancellieri ministro degli Interni, Paola Severino della Giustizia e Elsa Fornero del Welfare. Che cosa ne pensa? Una svolta?
Ilaria Guidantoni -
"Trovo molto importante la scelta di un ministro donna agli Interni perché rompe il preconcetto per cui determinati argomenti sono riservati solo agli uomini. E' un passo avanti da cui si evince che si tratta di una scelta non di genere, ma di sostanza".
Come ci siamo arrivati?
Ilaria Guidantoni -
"Con gli anni e con lo sforzo di persone di qualità. Oggi credo che tutti sentano l'esigenza di affrontare la vita civile con una sensibilità anche femminile, che aiuti, come dicevo poco fa, ad ampliare le valutazioni. Per dirla con Jung credo che si stia affermando un io collettivo che chiede questo allargamento di orizzonti".
Ma se fossero stati tutti uomini ci saremmo dovuti preoccupare? Non si rischia di cadere in un femminismo di principio più che di fatto?
Ilaria Guidantoni -
"Penso che le persone vadano valutate per meriti e capacità, non per il loro genere, ma penso anche che le donne, per le caratteristiche di cui sono naturalmente portatrici possano dare molto in molti campi ancora poco eplorati da loro come la politica e il sociale".
Quale valore aggiunto possono dare?
Ilaria Guidantoni -
"L'uomo è cacciatore, ha una visione più mirata, mentre la donna può averne di più ampie, morbide, accoglienti. La donna è madre e per questo è naturalmente portata a misurarsi con il prossimo, ha una insita capacità di valutare e comprendere le ragioni dell'altro e sa accogliere la ricchezza della diversità, caratteristica meno accentuata nell'uomo".
Quindi scelta azzeccata in particolare nel Welfare?
Ilaria Guidantoni - "Sì, spero che con un occhio e un pensiero femminile si riesca ad andare oltre al concetto formale di parità uomo-donna, per esplorare il senso reale della parità tra ricchi e poveri, malati e non, grandi e piccoli".
Anche il Nobel per la pace è stato assegnato a tre donne: la presidente della liberia Ellen Johnsonn Sirleaf, la connazionale Leymah Gbowee che lanciò una mobilitazione femminile contro la guerra civile, e l'attivista yemenita per la democrazia Tawakkul Karman...
Ilaria Guidantoni - "Molto positivo, sono tre personaggi poco noti, ma di grande spessore e questo è indice di una scelta calcolata sulle esperienze e sulle persone".
La donna guerriera è una figura quasi mitologica, in che modo le donne sono guerriere?Daniela Bini - "La donna guerriera ha illustri rappresentanti nella mitologia, nella letteratura e anche nella storia: dalle Amazzoni e dalle Valchirie alla vergine Camilla descritta nell'Eneide, da Bradamante e Clorinda, le sui vicende sono narrate nei poemi di Ariosto e Tasso, fino ad arrivare a Giovanna d'Arco, alle eroine del Risorgimento italiano, alle guerrigliere partigiane della Resistenza, alle donne terroriste degli anni Settanta. Le donne possono essere guerriere in due modi: perché imbracciano realmente un'arma oppure perché lottano per perseguire uno scopo nella vita".

Ilaria Guidantoni - "Nella tradizione è così, basti pensare alle Amazzoni e la donna guerriera, non necessariamente legata alla guerra, è trasfigurata nella sua femminilità. In effetti la maternità e l'essere guerriero formano un ossimoro ma solo se a quest'ultimo si associa il significato della lotta armata. In fondo la maternità è una lotta per la vita che soprattutto nell'antichità è stata spesso una guerra. Non a caso nell'immaginario psicanalitico accanto alla madre nutrice e custode del focolare, c'è la mamma tigre che ferisce per difendere i cuccioli".
Le donne sono guerriere anche oggi dunque?Daniela Bini - "Oggi ancora di più: esistono donne che lottano nel senso effettivo del termine e che fanno parte di eserciti regolari e donne che lottano con altri strumenti, non aggressivi ma ugualmente potenti. Mi riferisco alle scrittrici, alle giornaliste, ai medici, ai magistrati, alle donne che dirigono aziende, che ricoprono ruoli politici, che sono costrette a conciliare la professione con il diritto irrinunciabile di essere madri e di avere una vita privata, a quante ogni giorno devono combattere per salvaguardare i propri spazi e per conquistarsi un ruolo sociale dignitoso".

Ilaria Guidantoni - "Oggi più di ieri perché sono equiparate all'uomo in molte professioni e l'arma è meno tabù; ma anche perché la guerra cibernetica - scoperta con la recente rivoluzione tunisina, la rivoluzione dei gelsomini - consente una guerra gentile che più si adatta alle donne. Le proteste nello Yemen mettono bene in luce la forza femminile del guerriero interiore che non fa leva sul potere e sull'offesa. E' un atteggiamento iscritto nell'essere femminile più abituato allo scavo interiore e alla sopportazione del dolore. Anche nella rivoluzione tunisina, come scrivo nel mio pamphlet "I giorni del gelsomino", il ruolo delle donne è stato determinante".
Chi sono le "guerriere" di oggi?Daniela Bini - "Sono le donne africane, che lottano contro la fame e contro le torture sessuali e per difendere i propri figli, vittime degli squilibri sociali ed economici del pianeta; le donne tunisine, che combattono per migliorare le proprie condizioni, umane, politiche e sociali, dopo la rivoluzione; le donne iraniane e afghane, che hanno il coraggio di far sentire una voce contro i soprusi che devono subire dagli uomini; le donne occidentali, che pretendono una parità con l'uomo fatta di rispetto reale e non solo proclamato a parole; le donne gay, che esigono tutela dei propri diritti; le donne che si fanno strada in campi ancora tradizionalmente considerati di pertinenza maschile; tutte le donne che si battono per la libertà". Ci sono esempi di donne guerriere che la società considera negativamente? "Le terroriste degli anni Settanta incarnano un'idea oscura e inquietante di donna guerrigliera, che pur lottando per un ideale uccide a sangue freddo e in modo premeditato, che vive in regime di clandestinità e rinuncia volontariamente a un'esistenza cosiddetta normale. Una donna, questa, che suscita interesse, curiosità e insieme disprezzo, proprio per l'immagine fuorviante di donna che evoca, ma che meriterebbe tuttavia, per evitare approssimazioni e giudizi affrettati, un'accurata analisi storica e psicologica".

Ilaria Guidantoni - "Sono soprattutto madri, diversamente forse da quelle della lotta armata e dal femminismo tradizionale, che si battono per i propri uomini e per i propri figli, che lottano per la difesa dei deboli. Pensiamo alle Madri di Plaza de Mayo simbolicamente".
Mi fa due nomi di simboli della lotta femminile oggi?Daniela Bini - "Aung San Suu Kyi, che si batte per la libertà della Birmania sacrificando se stessa e la propria esistenza. Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006 per aver difeso i diritti negati del popolo ceceno e aver osato sfidare la Russia. Due esempi che tutte le donne dovrebbero tenere a mente".
Ilaria Guidantoni - "Scelgo due nomi non noti al grande pubblico perché sono persone che ho conosciuto e perché di quelle famose sappiamo tutto. Una è la scrittrice marocchina Fathima Mernissi che è scesa anni fa in piazza per la prima volta già grande con una carovana civile della solidarietà in nome dell'integrazione tra i popoli e del rispetto tra le religioni che ho incontrato al Festival della Letteratura di Mantova. L'altra a Sana Ben Achour, presidente dell'associazione tunisina donne democratiche, che ho incontrato a due mesi dalla rivoluzione del 14 gennaio e che sta conducendo una battaglia per la dignità nel segno del femminile e non del femminismo, con grande umiltà".
E la seduzione è un'arma per lottare?
Daniela Bini - "La seduzione è un'arma per amare. Una donna che seduce con lo scopo di utilizzare il corpo per ottenere successo professionale, ricchezza o potere non seduce, bensì umilia se stessa e la propria dignità. Una donna che appare seducente perché è intelligente, sensibile, capace, combattiva, affascinante, ma che non usa tale fascino per scopi opportunistici, è una donna che valorizza se stessa e le proprie potenzialità. Una donna che seduce perché ama è una donna che in modo libero e volontario esercita la seduzione nell'intimità del rapporto con il suo compagno".
Ilaria Guidantoni
- "Può esserlo, ma rischia di essere un'arma a doppio taglio e può essere sempre criticabile dall'esterno. Credo che le donne siano piuttosto sedotte loro stesse dalla lotta e a volte rischiano di innamorarsi del fatto di diventare guerriero, o di innamorarsi di un guerriero tanto da volerlo fiancheggiare, perdendo di vista i valori per i quali si lotta. E cosi facendo si perdono".
Che cosa chiederebbe alle donne di oggi?Daniela Bini - "Di avere dignità personale, di studiare, di avere una professione che le soddisfi e le gratifichi, di non rinunciare alla propria femminilità, di essere madri e mogli senza venir meno alle proprie esigenze e ai propri bisogni, di impegnarsi culturalmente, socialmente e politicamente per dare segnali concreti di miglioramento. Lo spirito combattivo delle donne oggi non dovrebbe più esprimersi attraverso le armi e la violenza, ma attraverso la forza dell'intelligenza, della cultura e del dialogo".
Ilaria Guidantoni - "L'utopia di non ripetere gli errori della storia. Di non perdersi appunto nell'innamoramento della guerra; di non abicare al femminile che è quello che stanno facendo le donne tunisine: dimostrare che si può fare una rivoluzione senza sangue, ascoltando anche la parte avversa e non opponendosi in modo pregiudiziale; di evitare che le armi prendano il sopravvento sulle ragioni della guerra, con una concretezza e buon senso che è più femminile ma non necessariamente di una donna. Infine di restare unite che è quello che spesso manca. Ancora una volta voglio ricordare le parole di Sana Ben Achour, "Insieme nella rivoluzione, insieme continuiamo", perché la vera guerra è nella quotidianità e fuori dal campo di battaglia. Ma vuol dire anche un'altra cosa: insieme agli uomini non solo quando serve ai maschi contro il nemico, per cacciare un dittatore - se vogliamo restare nell'attualità - ma anche dopo quando ci si spartisce il bottino, il potere e si devono fare le riforme".


Ilaria Guidantoni
Giornalista politico economico e Scrittrice, si è dedicata soprattutto ai trasporti ed infrastrutture, esperta di sicurezza stradale. Fiorentina, una laurea in filosofia teoretica a Milano; vive prevalentemente a Roma. Ha conseguito il Corso di Perfezionamento in Bioetica occupandosi di problemi legati alla corporeità, disturbi del comportamento alimentare e disagi affettivi; Cura la rubrica Politica e infrastrutture su “leStrade”. Consulente di molte istituzioni. Autore tra l’altro de’ “I giorni del gelsomino”, (P&I Edizioni, Febbraio 2011)

mercoledì 16 novembre 2011

La nuova squadra di Governo

Presidente del Consiglio e ministro dell'Economia: Mario Monti

Esteri: Giulio Terzi di Santagata

Interno: Anna Maria Cancellieri

Giustizia: Paola Severino

Difesa: Giampaolo Di Paola

Sviluppo economico e Infrastrutture: Corrado Passera

Politiche agricole: Mario Catania

Ambiente: Corrado Clini

Lavoro, politiche sociali, Pari opportunità: Elsa Fornero

Salute: Renato Balduzzi

Istruzione, università e ricerca: Francesco Profumo

Beni culturali: Lorenzo Ornaghi

Affari europei: Enzo Moavero Milanesi

Turismo e sport: Piero Gnudi

Coesione territoriale: Fabrizio Barca

Rapporti con il Parlamento: Piero Giarda

Cooperazione internazionale e integrazione: Andrea Riccardi

Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: Antonio Catricalà

martedì 15 novembre 2011

Elezioni Tunisia: pubblicati i risultati finali

Italia redazione ilmediterraneo

TUNISI- Gli islamisti moderati del partito Ennahda hanno conquistato 89 dei 217 seggi nella nuova assemblea costituente della Tunisia, secondo i risultati finali rilasciati dalla commissione elettorale del Paese.
Il secondo partito classificato, nelle prime elezioni libere nel paese nordafricano, è stato quello di sinistra, Congress for the Republic (CPR), che ha ottenuto 29 seggi e infine il terzo Popular Petition con 26 seggi.


Secondo quanto affermato dalla commissione elettorale, l'affluenza alle urne è stata intorno al 54,1 per cento, ossia circa quattro milioni di tunisini su 7.600.000 elettori registrati sono andati a votare lo scorso 23 ottobre. Il partito di sinistra Ettakatol ha vinto 20 seggi, il Partito Progressist Democratic Party ne ha conquistati 16, mentre il Democratic Modernist Pole 5. Alcuni dei seggi restanti sono andati ai partiti più piccoli, tra cui i comunisti che ne hanno vinto tre. Sedici seggi invece sono stati assegnati ai candidati delle liste indipendenti.

OBIETTIVO: NUOVA COSTITUZIONE
La nuova assemblea costituente si riunirà per la prima volta il 22 novembre nel Palazzo del Parlamento di Tunisi. Il primo obiettivo sarà quello di elaborare una nuova costituzione. Il vice capo del partito Ennahda, Hamadi Jebali, ricoprirà la carica di primo ministro, mentre sono in corso ancora discussioni tra gli islamisti e gli altri partiti per la scelta del presidente di Stato e dell'Assemblea costituente.
Il governo provvisorio guidato da Beji Caid Essebsi, che è stato costituito sei settimane dopo la caduta di Ben Ali, rimarrà in carica fino a quando non sarà formata la nuova squadra di governo.


(Fonte foto: al-Jazeera)

La rivoluzione è appena cominciata

da' "LIMES" on line, Elezioni in Tunisia

di Andrea de Georgio

Il voto di fine Ottobre è stato il primo passo, epocale, verso un futuro incerto cui guarda con attenzione tutto il mondo arabo. L'islamismo "turco" di Ennahdha e quello del Cpr. Il caso di "Petizione Popolare". Primo imperativo: rilanciare l'economia.

Il 23 Ottobre 2011 rimarrà impresso nella storia della Tunisia e di tutto il mondo arabo: è la data delle prime elezioni libere, dopo più di vent’anni di regime di Zine El Abidine Ben Ali e una trentina di governo autocratico di Habib Bourghiba. L’atto di nascita della prima vera democrazia araba della primavera araba? Il primo passo nel processo d’istituzionalizzazione della Umm’ al Thaurat, la “madre delle rivoluzioni”? O il tradimento delle aspettative e delle speranze nate nelle piazze di Tunisi? Questi sono alcuni degli interrogativi usciti dalle urne elettorali del più piccolo Stato del Maghreb, ai quali solo il tempo potrà trovare delle risposte.

Ultimamente tutti guardano alla Tunisia e alle sue elezioni, con un misto di interesse, curiosità e scetticismo. Il faro, l’apripista di una lunga stagione di tornate elettorali, dibattiti politici e ridefinizione identitaria che potrebbe cambiare il volto dell’intera regione - mai come ora dinamica e in fermento - e rinegoziarne gli equilibri di forza. Marocco ed Egitto preparano alacremente le proprie elezioni. Turchia, Qatar ed Arabia Saudita giocano la partita decisiva per la leadership ideologica, politica ed economica dei paesi arabo-islamici. Stati Uniti ed Europa concorrono, a suon di fondi e progetti, ad aggiudicarsi la palma di paladino della libertà dei paesi in via di sviluppo.

A Tunisi il 23 Ottobre non è una domenica come le altre. Fin dalle prime luci del giorno, dopo la preghiera del mattino, folle di cittadini si mettono ordinatamente in fila davanti alle centinaia di seggi, sparsi ovunque nella capitale. Ad Aiyy Tadamoun, il più grande quartiere popolare del Nordafrica (470 mila abitanti, secondo l’ultimo censimento del 2004), una città nella città, nella periferia nord-ovest di Tunisi, la gente affolla dall’alba la scuola elementare vicino allo stadio, principale seggio del quartiere. Da una parte le donne, dall’altra gli uomini. Alcuni soldati armati vigilano, smistando le persone nelle varie aule. Tutto avviene in un clima di infinita pazienza, quasi di festa. Intere famiglie si scambiano saluti e impressioni. Bambini di tutte le età scorrazzano per il cortile della scuola, felici ed inconsapevoli.

È una giornata storica per la nostra nazione e per tutti i paesi arabi: per la prima volta siamo davvero liberi di esprimere la nostra opinione. Da oggi il nostro è un paese nuovo!”. Hajia è una signora di mezza età, volto gentile incorniciato dall’hijab blu scuro. Come lei moltissimi si recano alle urne per la prima volta nella vita. L’emozione è palpabile. “Prima, quando c’era Ben Ali, le elezioni erano solo una grande presa in giro. C’erano schede di diverso colore, così si vedeva subito chi votava per chi. Oggi c’è trasparenza e libertà, finalmente”. La stragrande maggioranza della gente di Aiyy Tadamoun dice fieramente di voler votare per Ennahdha.

Il partito islamista di Rachid Gannouchi e Hamadi Jbali fa incetta di voti fra gli strati più popolari della società, ma anche fra quella borghesia medio-alta che crede che il pilastro identitario su cui si debba edificare la Tunisia di domani non possa che essere l’Islam, dopo anni di laicismo imposto dall’alto. La natura ideologica di Ennahdha sta tutta nella sua denominazione. Letteralmente “rinascita”, il nome scelto dal partito (fino all’89 si chiamava Mouvement de la tendance islamique) si riferisce direttamente alla Nahdha, il cosiddetto “Rinascimento arabo”, movimento intellettuale nato in Egitto a cavallo fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, distintosi per la rilettura in chiave progressista e moderna dell’Islam teorizzata dai suoi tre principali pensatori: Muhammad Abduh, Rachid Rida e Jamal al Din al Afghani.

La matrice politica originaria del movimento islamista tunisino, nato nei primi anni Ottanta e formatosi in clandestinità o nel buio delle galere del regime, è invece quella dei Fratelli Musulmani egiziani. Semplificando, sono movimenti politici che trovano la propria linfa vitale nell’assistenzialismo e nel richiamo diretto alle radici musulmane. Ma la Tunisia non è l’Egitto, né tantomeno la Libia o l’Algeria. La Tunisia è un paese storicamente più laico, che si fonda su basi di tolleranza, libertà civili e convivenza confessionale, oltre che multietnica.

Qui il fondamentalismo islamico non ha grande seguito, come succede invece in altri paesi della regione. Il salafismo, per quanto possa fare paura, è un elemento minoritario. Hizb al Tahrir, sedicente formazione politica salafita che nei mesi precedenti alle elezioni si è distinta per attacchi a bordelli, sinagoghe, cinema e altri luoghi “profani” della capitale - e perciò dichiarato illegale - ha qualche adepto soprattutto nel sud del paese. Ma i fondamentalisti tunisini si sono divisi riguardo alle elezioni. I più pragmatici hanno votato Ennahdha tappandosi il naso, nella speranza che il partito islamista possa presto trasformarsi in avanguardia salafita nel paese. Molti altri, invece, hanno boicottato le urne sostenendo che tutti i partiti, compreso Hizb al Tahrir, e le elezioni stesse siano haram, “peccato” secondo la lettura più severa dei precetti islamici. Da ciò se ne deduce che, per quanto la svolta islamista sia un dato di fatto delle elezioni tunisine, il pericolo d’infiltrazioni salafite all’interno di Ennahdha e del futuro governo non sia niente di più che uno spauracchio.

Il modello
- e, si vocifera, anche i fondi - cui mira il partito di Gannouchi e Jbali è quello dell’Akp turco (vedi visita di Erdoğan ai quadri del partito prima delle elezioni) e del Qatar, piuttosto che quello dell’Arabia Saudita, mano invisibile dei gruppi jihadisti del sud della Tunisia, egiziani, libici e algerini.

Il clima che si respira a un seggio di Aiyy al Nasr, uno dei più ricchi quartieri residenziali della capitale, è diverso rispetto ad Aiyy Tadamoun. Uomini e donne fanno la fila insieme. Poche donne velate. Vestiti all’occidentale. Anche qui molti sostengono di voler votare per Ennahdha, ma aumentano le voci fuori dal coro. Fra le diverse dichiarazioni di voto, in questo seggio spiccano quelle per il Cpr, seconda forza politica del paese. Il Congrès pour la République o Mu’tamar, “congresso” in arabo, è il partito di Moncef Marzouki, antico oppositore del regime fuggito in esilio in Francia e diventato paladino dei diritti umani (è stato perfino presidente dell’Arab commission for human rights).

Il suo partito, nato nel 2001, il cui logo è un disegno dei suoi occhiali rossi e verdi – simbolo della personalizzazione che caratterizza il Cpr così come molti altri partiti locali – trova forza e consensi, oltre che nell’antica opposizione al regime di Ben Ali, nella felice commistione fra discorso democratico e discorso islamista. Come sostiene Abd Al Rauf Ayadi, delfino di Marzouki e probabile futuro ministro della giustizia: “Siamo diversi da Ennahdha. Il nostro non è un partito ideologico. Ma neanche antisilamico come il Qutb (Polo democratico modernista, ndr) o il Poct (Partito comunista dell’ideologo Hamma Hammami, ndr) o tanti altri che si dicono progressisti e laici. L’Islam è la religione del popolo, fa parte della nostra identità. Ci sono diverse correnti al suo interno, ma il Cpr è un partito politico con un programma che guarda soprattutto al rispetto dei diritti umani e allo stato di diritto. Noi vogliamo che la Tunisia diventi la patria della democrazia”.

Nelle differenze riscontrabili fra i seggi di Aiyy Tadamoun e Aiyy al Nasr sono riassunti i due volti della Tunisia di oggi. Da una parte gli sfarzi e un maggior grado di apertura della capitale e di altre città della costa - come Sfax - che godono di una condizione economica favorevole grazie alle industrie e al turismo; dall’altra, l’interno e il sud del paese, in condizioni economico-sociali preoccupanti.

Simbolo di questa seconda Tunisia marginalizzata è il triangolo Sidi Bouzid-Gafsa-Kasserine, tre città-simbolo della storica lotta contro il potere centrale – fin dai tempi di Bourghiba - e della rivoluzione tunisina. A Sidi Bouzid si è dato fuoco il venditore ambulante Muhammad Bouazizi, primo martire e miccia della rivoluzione. A Gafsa, nel dicembre scorso, sono scoppiate le prime rivolte contro Ben Ali. A Kasserine è stato pagato il prezzo più alto, in termini di vite umane, della cacciata del raìs. Queste tre città irredentiste sono tornate alle cronache la settimana successiva alle elezioni, a causa dei gravi scontri e devastazioni che sono seguiti, soprattutto a Sidi Bouzid, alla decisione di invalidare i voti ottenuti da Aridha Asshabiyya, vera sorpresa elettorale e terza forza politica uscita dalle urne.

La Petizione Popolare è una lista indipendente nata alla viglia delle elezioni e animata da un personaggio noto e molto controverso, Hacmi Hamdi. Ex esponente di Ennahdha passato nelle file dell’Rcd di Ben Ali e successivamente autoesiliatosi a Londra, Hamdi è un imprenditore arcimilionario e camaleontico, dal carattere iracondo. Fondata la sua lista ad personam, ha fatto campagna elettorale dall’Inghilterra attraverso la sua televisione privata Al Mustakilla, promettendo di ritornare in Tunisia solo a elezioni terminate. Originario di Sidi Bouzid (dove ha ottenuto la maggior parte dei consensi), Hacmi Hamdi ha minacciato di ritirare tutti i propri candidati a seguito dell’invalidazione dei voti ottenuti in 7 circoscrizioni, a causa di alcuni candidati noti Rcdisti e della violazione di una norma contro i finanziamenti internazionali ai partiti. Da qui la collera della gente di Sidi Bouzid, che si è sentita presa in giro dagli organi transitori e ha devastato la città.

A placarli, oltre che il coprifuoco imposto dai militari dopo due giorni di scontri, è bastato un intervento dello stesso Hamdi a una delle tante arene politiche televisive, in cui ha invitato la sua gente alla calma, e la successiva decisione dell’Isie – l’Istance supérieure indépendante pour les eléctions, organo guidato da Kamel Jendoubi incaricato dell’organizzazione e del controllo delle elezioni, che ha dimostrato notevole serietà, ponderatezza e responsabilità – di restituire, dopo aver valutato il ricorso presentato da Aridha, parte dei seggi tolti al suo partito.

Dopo tanta confusione, al netto dei risultati elettorali i 217 seggi disponibili nell’Assemblea Costituente saranno così ripartiti, secondo un complesso sistema proporzionale garanzia di pluralismo: 91 a Ennahdha, 30 al Cpr, 26 a Aridha asshabiyya, 21 a Attakattol (socialdemocratici guidati da Mustafa Ben Jafar), 17 al Pdp (Partito democratico progressista, grande sconfitto delle elezioni), 5 al Pdm (Polo democratico modernista), 3 al Poct (partito comunista) e le briciole a una moltitudine di partitelli anonimi e liste indipendenti. A questa pletora di nuovi attori politici viene chiesto di scrivere la nuova Costituzione tunisina e formare un governo tecnico di unità nazionale che possa traghettare il paese verso delle vere elezioni politiche, fra massimo un anno.

L’unica certezza, per ora, è l’alleanza strategica fra Ennahdha, Cpr e Attakattol per cercare di isolare Aridha e il suo leader. Oltre all’interrogativo sul futuro Presidente (Jbali? Marzuki? Ben Jafar?), molte sono le questioni che ancora aspettano risposte concrete. Primo fra tutti il problema economico, cioè fondamentalmente come mettere un freno al tasso di disoccupazione, galoppante soprattutto fra i giovani e sensibilmente peggiorato dopo la rivoluzione. Cifre ufficiali, aggiornate al maggio 2011, parlano di oltre 704 mila disoccupati contro i 491 mila del maggio 2010. Alla disoccupazione si sommano le gravi conseguenze sul piano sociale e demografico.

I giovani tunisini non si sposano più (da qui la trovata propagandistica di Ennahdha che, prima delle elezioni, ha organizzato e finanziato diversi matrimoni comuni in giro per il paese). I tassi di crescita demografica si stanno contraendo pericolosamente. Nel giro di 15-20 anni lo scenario al quale la Tunisia rischia di andare incontro, se non verranno fornite delle soluzioni politiche e sociali, è quello di un’economia in forte ripresa ed espansione priva però di forza lavoro, con conseguenti problemi di immigrazione e conflitti sociali. Un’altra questione aperta – come dimostrato dall’”affare Aridha” - è senza dubbio cosa fare dei vecchi sostenitori dell’Rcd, partito unico dell’epoca Ben Ali.

Dopo 23 anni di dittatura
, si stima che gli appartenenti o simpatizzanti dell’Rcd si aggirino fra i tre e i quattro milioni. Impossibile epurare completamente i quadri delle istituzioni del paese. Il rischio è distruggere le fondamenta della rinascita economico-politica, come accaduto nell’Iraq de-bathizzato (liberato, cioè, da tutti gli elementi del vecchio partito Bath). Di questo sono consapevoli sia Ennahdha sia gli altri principali attori politici tunisini. Fin dai primi giorni dopo le elezioni, infatti, stanno lavorando a un progetto comune che chiamano “giustizia transizionale”. Riformare subito il sistema giuridico, valutare le responsabilità reali dei principali ex-Rcdisti ancora presenti nella scena pubblica e assicurarli alla giustizia. Una lista di oltre 400 nominativi è al vaglio di una commissione speciale dell’Isie, che presto renderà pubblici i risultati del proprio lavoro investigativo.

Il caso della Tunisia - “il paese dove tutto è impossibile ma realizzabile” come ironizzano i ragazzi del 14 Gennaio - dimostra come la ribellione popolare contro i vecchi regimi autocratici che ha portato a cambiamenti repentini ed epocali nel giro di poche settimane (da qui appunto il concetto di rivoluzione, mutuato dall’astrologia), non sia che il primo passo di un lungo ed impervio cammino verso un futuro ancora incerto e in via di definizione. Le sorti dell’intero mondo arabo passeranno obbligatoriamente dal destino di questo piccolo paese maghrebino.
(15/11/2011)

Dollìrio, parlare di mafia al femminile

per chi vuole leggere la recensione di Dollìrio, in programma a Roma alla casa delle culture:
http://www.saltinaria.it/recensioni/spettacoli-teatrali/13051-dollirio-casa-delle-culture-di-roma-recensione-spettacolo.html

sabato 12 novembre 2011

DOLLìRIO alla Casa delle culture di Roma

A breve sarà possibile leggere la recensione su www.Saltinaria.it

DOLLìRIO della Compagnia IARBA di Catania,
in scena dal 4 al 13 novembre 2011
GRIA TEATRO | GRUPPO IARBA diretto da Nino Romeo

Il testo Dollìrio di Nino Romeo tratta il tema della mafia con un’angolazione originale, basandosi su una struttura narrativa e drammaturgica coinvolgente e su un linguaggio anticonvenzionale ma fortemente concreto.
Protagonista della pièce è Mara a cui sono stati uccisi i genitori: si rivolge a Dollìrio (don Lirio), il boss del quartiere, al quale affida la sua vendetta.

STAZIONE PIRANDELLO





A breve su www.saltinaria.it si potrà leggere la recensione

Stazione Pirandello è uno spettacolo giocato quasi esclusivamente sulle parole, con un’inserzione originale e suggestiva delle musiche di Rino Gaetano. Un viaggio che attraversa l’immaginario del drammaturgo siciliano, di opera in opera, costruendo una nuova pièce che è sintesi creativa del pensiero pirandelliano. Ci sono tutti i temi: l’incomunicabilità, la pazzia come interpretazione discrezionale e come soluzione, la scissione tra corpo e io, e ancora lo sdoppiamento fusionale tra persona e personaggio e il teatro nel teatro metafora dell’io.


Dall’ 8 al 27 Novembre 2011
Teatro Sala Uno, Piazza di Porta San Giovanni,10 Roma
con Sabrina Dodaro, Tony Allotta, Irma Ciaramella,Gabriele Linari
regia Gino Aurioso - aiuto regia Eduardo Ricciardelli - assistente Nicole Calligaris
scene e e costumi M. Francesca Serpe - musiche di RINO GAETANO

giovedì 10 novembre 2011

Frammenti di me. Virginia Wolf

la recensione si può leggere collegandosi a:
http://www.saltinaria.it/recensioni/spettacoli-teatrali/12994-frammenti-di-me-virginia-woolf-teatro-filodrammatici-milano-recensione-spettacolo.html

mercoledì 9 novembre 2011

Frammenti di me. Virginia Wolf

un testo di Ken Ponzio con la regia di Corrado Accordino. La recensione a breve on line su Saltinaria.it

giovedì 3 novembre 2011

Sidi Bouzid, inizio e fine di una rivoluzione?

di Andrea de Georgio, Free lance
da un articolo pubblicato sul quotidiano “Il Foglio”

Sidi Bouzid (Tunisia) - I muri di Sidi Bouzid parlano. “Gloria ai martiri”,
“Restate in piedi tunisini, tutto il mondo è fiero di voi”, “Libertà è
uguaglianza”, “Combatteremo fino alla vittoria o fino alla morte”, “Alzati
in piedi e combatti per i tuoi diritti”, “RCD fuori!” (Rcd era il partito
del regime). Qui è scoppiata la rivoluzione dei gelsomini che ha portato
alla cacciata del rais di Tunisi, Ben Ali. Qui è nata la primavera araba,
in un giorno di dicembre, “dovete scrivere che la rivoluzione è cominciata
qua il 17 dicembre e non a Tunisi il 14 gennaio, come dicono tutti”, ci
dicono. Ci sono tante scritte che inneggiano allo “shaid”, martire, Mohamed
Bouazizi, il giovane venditore ambulante che, dandosi fuoco nella piazza
che ora gli è dedicata, ha fatto esplodere la rivolta. Questa cittadina
nell’entroterra rappresenta l’altro volto della Tunisia, quella che non ha
gli sfarzi della capitale né il mare e il turismo. E’ un piccolo centro
rurale, l’immondizia è dappertutto, tassi di disoccupazione e povertà che
non lasciano speranza, soprattutto ai giovani. Questa città, come Kasserine e
Gafsa – stessa regione, stessi problemi – sono il centro della rivolta
contro il potere centrale: era così quando c’era Bourghiba, è stato così
con Ben Ali, è così oggi, nella nuova Tunisia di Ennahdha, il Partito
islamico che ha vinto le elezioni del 23 ottobre.
Nella settimana dopo il voto, l’Isie – l’Istance Supérieure Indépendante
pour les Eléctions – ha deciso di invalidare i voti ottenuti a Sidi Bouzid
e in altri cinque governatorati da Aridha Asshabiyya (Petizione popolare),
il movimento guidato da Hacmi Hamdi che si è imposto a sorpresa al terzo
posto nei risultati elettorali. Ex esponente di Ennahdha, Hamdi è un
miliardario nato a Sidi Bouzid che da anni vive in esilio volontario a
Londra: ha fatto campagna elettorale dagli schermi della sua tv privata al
Mustakella, ha conquistato un sacco di voti ed è stato sanzionato a seguito
di irregolarità legate ai finanziamenti stranieri e alla presenza di
candidati appartenenti all’ex partito di regime, l’Rcd. I leader di Ennahdha
e del Cpr (Congresso per la Repubblica, secondo partito, 30 seggi
nell’Assemblea costituente contro i 90 degli islamisti) hanno criticato i
voti di Sidi Bouzid andati al partito di Hamdi, e così è scoppiata la
rivolta.
Venerdì scorso sembrava una manifestazione pacifica. Poi sparuti gruppi di
giovani hanno saccheggiato, distrutto e bruciato il municipio, la base
della Guardia nazionale, il Palazzo di Giustizia, una sede ministeriale,
l’ufficio di Ennadha e due ong. E’ stato imposto il coprifuoco, l’esercito
è entrato in città con una decina di mezzi pesanti e due grossi camion
pieni di soldati. Hussein Jellaly, gentile impiegato statale sulla
quarantina, dice al Foglio che lui ha votato per Ennahda, come il suo amico
Rachid che siede accanto a lui in un tipico salotto arabo tutto archi,
fiori finti e quadretti kitch. La moglie Hana, con il velo e lo sguardo
gentile, e un nipote di 24 anni laureato in ingegneria agronoma
(disoccupato) hanno votato per Petitzione popolare. Hana contraddice spesso
il marito, adducendo l’argomentazione più comune fra la gente di Sidi
Bouzid: “Hacmi (qui lo chiamano tutti confidenzialmente per nome, ndr) è
figlio della nostra città. E’ un buon musulmano ed è ricco. Farà il bene
della nostra gente, portando nella capitale le nostre richieste e i nostri
problemi. Tutti gli altri politici se ne fregano”. “Non è vero. E’ amico
degli Rcdisti – risponde il marito – Soltanto Ennahdha ha da sempre fatto
opposizione al regime, la gente lo sa bene e infatti lo hanno votato in
tanti”. La tv è accesa, quando compare il volto di Rachid Gannouchi, il
leader di Ennahdha, cala il silenzio. Promette di creare un polo industriale
nella regione di Sidi Bouzid in modo da creare nuovi posti di lavoro, a
Hussein brillano gli occhi: “E’ la prima volta che sento un politico dire
una cosa del genere. Forse non abbiamo votato invano, inshallah”. Tra i
vari interventi in onda su Hannibal tv, la rete locale privata più seguita
nel paese, arriva una telefonata di Hacmi Hamdi che, oltre alla solita
retorica coranica e populista e gli attacchi a tutti, invita la gente di
Sidi Bouzid alla calma, annunciando di voler fare marcia indietro rispetto
alla decisione di ritirare tutti i candidati di Aridha. La protesta è
finita. Rimane lo strascico di rabbia che queste elezioni, le prime libere
della storia della Tunisia, lasciano soprattutto nei giovani, che temono
che la loro rivoluzione venga tradita – che sia già stata tradita.
Il giorno dopo la rivolta, fra macchine bruciate, panchine di pietra
fracassate e lampioni divelti, la gente di Sidi Bouzid vuole spazzare via i
pregiudizi e la cattiva pubblicità. Zeyd Abdallah, un avvocato, dice: “E’
una barbarie inaccettabile. Qualcuno ha approfittato della rabbia della
gente per far sparire i documenti che provavano i loro crimini. Hanno
pagato giovani di fuori per fare tutto questo. Molto probabilmente sono
stati gli ex del regime, ma non abbiamo prove. Hanno bruciato anche il
comune. L’intera storia della nostra città è andata in fumo in poche ore.
Sono come barbari”. Non si sa con certezza se dietro alla degenerazione
violenta della protesta di Sidi Bouzid ci siano effettivamente elementi
dell’ex dittatura, ma certo la tensione in Tunisia fa il gioco di
chi sostiene che il paese non è più sicuro dopo la cacciata del despota. Ma
se a Tunisi Ennahdha si affretta a promettere una coalizione forte con gli
altri due principali partiti usciti dalle urne (Cpr e Attakattol, movimento
di Mustafa Ben Jaafar), un governo tecnico di unità nazionale entro massimo
un mese e una nuova Costituzione, la piazza di Sidi Bouzid solleva una
questione centrale nel processo di transizione. Come si fa a ripulire il
paese dagli ex del regime senza incorrere in una caccia alle streghe
pericolosa per il futuro economico e politico della nazione (vedi alla voce
“debathizzazione” in Iraq)? L’Isie ha stilato negli ultimi mesi una lista
di oltre 400 Rcdisti che ancora si nascondono nelle pieghe della nuova
democrazia, ma non l’ha mai resa pubblica. Una commissione d’inchiesta –
senza poteri giuridici – sta redigendo un report da sottoporre al nuovo
apparato che, non appena verrà nominato dal nuovo governo, avrà il compito
di processare e sostituire i quadri lealisti al partito di regime ancora
attivi nelle istituzioni economiche e politiche del paese.
Secondo Abd Al Rauf Ayadi, attivista per i diritti umani e avvocato di
spicco, numero due di Marzouki e del Cpr, papabile futuro ministro della
Giustizia, “bisogna riformare il sistema giuridico in modo da poter
applicare quella che chiamiamo ‘giustizia transizionale’. Su questo punto
siamo già d’accordo con Ennahdha”. Parlando nella sede del suo partito,
Ayadi – che ha passato 5 anni e mezzo in prigione e 10 agli arresti
domiciliari per aver denunciato il regime di Ben Ali – è duro con gli ex
della dittatura: ”Il voto popolare ha dato un segnale chiaro. Abbiamo vinto
noi ed Ennadha perché siamo stati gli unici partiti contro l’Rcd. E ora
dobbiamo fare giustizia per portare a termine la rivoluzione”. Sulla
“giustizia transizionale” si giocherà molto del futuro del prossimo
governo, e della Tunisia.

EnnahDa, dietro e dentro il partito che ha vinto

di Andrea de Georgio, Free lance

da un articolo pubblicato sul quotidiano “Il Foglio”

Per le strade di Tunisi le moto della polizia sono ovunque. Gli agenti in
abiti civili, jeans e giubbotti di pelle, portano sempre gli occhiali da sole, per celare i loro sguardi sui passanti. Assomigliano terribilmente agli sgherri dell’ex presidente Ben Ali, quella polizia speciale che faceva della Tunisia un regime, ma non fanno più paura. Perché in mezzo c’è stata la rivoluzione. Anzi, “la madre delle rivoluzioni”, come la chiamano qui, Umm’ al Thawrat. Così, a pochi giorni dalle prime elezioni pluraliste del
paese – e delle prime elezioni di un paese scosso dalla primavera araba, un test per tutti
– con cui si eleggerà un’Assemblea costituente, le ragazze vestite all’occidentale sfilano
spensierate per le vie del centro, fra una vetrina di moda italiana e un chiosco di chawarma,
fianco a fianco a coetanee che portano l’hijab.
Ma non tutta la capitale è così gioiosa. Davanti al ministero dell’Interno
e in alcune altre piazze del centro le matasse di filo spinato e i mezzi
corazzati, armati di tutto punto, ricordano ai tunisini che il tempo della
rivoluzione, degli scontri di piazza, della transizione verso la democrazia
non è finito. Ci vorrà altro tempo, mormorano nei caffè. Forse più di
quanto la gente, soprattutto le classi popolari, non abbia pazienza di
aspettare. Non basta indire libere elezioni per risolvere i conflitti
interni alla società tunisina. Il vuoto istituzionale e politico lasciato
in eredità da ventitré anni di regime clientelare di Ben Ali pesa sul
destino di questo piccolo paese maghrebino.
Nelle ultime settimane, sui muri di Tunisi sono apparse file di riquadri
tracciati con lo spray nero. Sono gli spazi destinati ai manifesti
elettorali, diligentemente organizzati in modo che ognuno tra le decine di
nuovi partiti e partitelli abbia lo stesso spazio. Prove generali di
democrazia? I tanti partiti che coprono tutte le sfumature politiche,
colorando i muri della capitale di simboli dalle tinte variopinte, dopo
decenni di partito unico, sembrerebbero andare proprio in questa direzione.
Socialisti, centristi, repubblicani, modernisti, islamisti, comunisti.
Minimo comun denominatore il richiamo, nel nome o negli slogan, alla
democrazia e a un ancora imprecisato sentimento di appartenenza nazionale.
Basta farsi un giro nei mercati, dai souq della Medina ai banchi dei
venditori abusivi dei quartieri periferici, per rendersi conto che la
presenza di un numero sconsiderato di fazioni – solo a Tunisi si presentano
più di cento formazioni politiche – non fa altro che alimentare la
confusione. La gente colleziona volantini di ogni partito, consegnati con
fare ordinario da attivisti e volontari delle varie formazioni, che non
degnano il potenziale elettore nemmeno di uno sguardo. Gruppi di uomini di
mezza età discutono animosamente seduti ai tavolini dei caffè. Fino a
qualche mese fa le discussioni erano monopolizzate da un unico tema: il
calcio. Oggi, nella Tunisia liberata, non è più vietato parlare di
politica, ma il tenore dei dibattiti da bar sembra rimasto invariato.
Nella moltitudine di partiti che si presentano alle elezioni per
l’Assemblea costituente, a spiccare per importanza e seguito, sono i
movimenti politici che erano già (clandestinamente) attivi durante gli anni
del regime. Su tutti brilla la stella di Ennahda (“rinascita”,
“risveglio”), il partito di ispirazione islamica che fa paura all’occidente
e anche a quegli strati della società tunisina che rivendicano quella
neutralità confessionale che ha da sempre fatto della Tunisia un paese sui
generis in Maghreb, soprattutto per quanto riguarda il livello di libertà e
tolleranza religiosa. Non sono in pochi ad agitare, in questi giorni, lo
spauracchio dello stato islamico, del califfato, della minaccia salafita e
del fondamentalismo. Il partito islamista di Ennahda, rappresentato da
personalità di spicco dell’opposizione al regime di Ben Ali, spesso
cresciuti politicamente nelle galere o in esilio all’estero, sa che può
essere strumentalizzato, forse in alcuni casi se ne approfitta.
Nata nei primi anni Ottanta, con il nome di Mouvement de la tendance
islamique, la formazione nel 1989 ha deciso di eliminare ogni riferimento
diretto all’islam, a partire dalla ragione sociale: diventa Haraka Ennahda,
conservando nel nome la natura movimentista (Haraka sta per “movimento”),
ma riprendendo un termine caro alla storia del pensiero politico
arabo-islamico (la “Nahdha” è il cosiddetto “Rinascimento arabo”, a cavallo
fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento). Ziyad Taoulouki,
principale candidato nella circoscrizione di Tunisi 2 (fuori dal centro,
composta sia da quartieri popolari sia da zone lussuose come La Marsa e La
Goulette) e probabile futuro ministro degli Esteri in caso di vittoria di
Ennahda, è un buon esempio della classe dirigente del partito. Ha
cominciato a masticare di politica durante gli studi in farmacia,
all’università. La militanza nel movimento islamista gli è costata
quattordici anni di regime carcerario duro, la maggior parte dei quali
trascorsi in isolamento, in una cella di un metro per tre. Taoulouki
conserva ancora i segni delle torture. Fissa il nostro appuntamento in una
modesta casa di un solo piano, con tanto di cortile interno e galline che
scorrazzano dappertutto, in un quartiere popolare della periferia di
Tunisi. A causa di una legge promulgata dalle autorità di transizione
qualche settimana fa, a tutti i candidati alle elezioni è espressamente
vietato rilasciare interviste ai giornalisti stranieri (si vocifera a più
livelli che sia una legge inizialmente pensata contro al Jazeera, che è per
forza di cose poi ricaduta su tutti i media internazionali). Ma nei paesi
arabi, si sa, una chiacchiera non si nega a nessuno, soprattutto dopo
decenni di silenzio forzato.
Ziyad Taoulouki si presenta, come la maggior parte dei leader di Ennahda,
come un politicante pragmatico dai toni pacati. “L’ultima cosa che sogno
per il mio paese è vedere tornare le forche e la repressione che c’erano
durante gli anni del regime di Ben Ali. Allora, nelle carceri c’erano tra i
trenta e i quarantamila prigionieri politici. L’islam che noi
rappresentiamo è quello in cui crede la maggior parte della popolazione
tunisina. E’ la religione della tolleranza e del dialogo. Nulla a che
vedere con estremismo, fondamentalismo e terrorismo”.
Il registro dei candidati, dei quadri del partito, dei militanti e del
programma (sia nella versione in lingua araba sia in quella in francese) è
sempre lo stesso. Un segnale che dimostra come Ennahda sia il partito
maggiormente (se non l’unico) strutturato e organizzato politicamente nella
Tunisia odierna. Sembra che tutti i suoi membri leggano da un copione. Ci
sono pochi dubbi riguardo alla loro vittoria: secondo le ultime previsioni
il consenso si aggira attorno al 30 per cento dei voti, molto più di tutti
gli altri partiti, ma comunque non sufficiente per governare in solitudine.
Anche loro hanno alcune preoccupazioni: bisogna fare attenzione al pericolo
dell’isolamento internazionale, ad esempio: “I governi occidentali,
l’America e l’Europa riconosceranno la nostra vittoria?”, chiede Taoulouki
prima di cominciare la preghiera (dev’essere aiutato a fare le
genuflessioni rituali, per problemi fisici causati dalle torture).
Per la maggior parte del tempo però i leader di Ennahda ostentano sicurezza
di vincere. L’unico interrogativo in seno ai rappresentanti del partito,
così come alla gente comune, è se stravinceranno oppure no. “Anche se
dovessimo superare la soglia del 30 per cento, inshallah, è nostra
intenzione formare una grande coalizione, un governo di unità nazionale
lasciando aperta la porta a chiunque voglia farne parte”. I messaggi di
apertura si sprecano. Anche perché Hizb al Tahrir, il principale partito
salafita (gli altri movimenti fondamentalisti ritengono che costituire un
partito sia haraam, “peccato”), non ha ottenuto il permesso di partecipare
alle elezioni da parte del governo di transizione, restando a tutti gli
effetti un partito illegale. Ma è proprio per questo che da più parti,
all’interno del paese come all’estero, molti temono che la base di Ennahada
si sia aperta alle frange più fondamentaliste, lasciando che i salafiti
infiltrassero l’unico partito islamico che può vincere le elezioni.
Già, la base. Un problema vecchio come la politica. Lo sanno bene alla sede
centrale del partito, un palazzone tutto vetrate che si trova nel cuore di
Montplasir, il quartiere finanziario di Tunisi. Ennahda è il principale
partito islamista e il sentimento di appartenenza identitaria alla
religione coranica è un fenomeno in forte espansione nella Tunisia post
rivoluzionaria. Soprattutto all’interno del paese e al sud, così come nei
quartieri popolari della capitale (zone in cui la situazione economica è
assai peggiorata dai tempi del regime di Ben Ali e in cui fa più presa la
vocazione sociale del movimento), sono in molti a vedere Ennahda come
l’unico partito che possa rappresentare l’istanza di una Tunisia islamica e
non più laica. Dall’altra parte della barricata ci sono le classi
medio-alte della borghesia di Tunisi, che sono scese in piazza il 16
ottobre per protestare pacificamente contro un’imponente manifestazione di
Hizb al Tahrir del venerdì precedente (finita davanti alla sede del
ministero della Cultura con scontri tra frange violente e forze di
polizia). La borghesia rivendica la laicità e la storica neutralità
religiosa dello stato tunisino, chiedendo riforme democratiche e rispetto
dei diritti civili.
Ziyad Taoulouki e Souad Abd al Rahim (capolista di Tunisi 2 e unica donna
non velata che si candida con Ennahda) negli ultimi giorni hanno
partecipato assieme ad altri candidati del partito a comizi elettorali
organizzati in tutti i quartieri della capitale. Il barometro più
affidabile rispetto alle spinte della base è stato l’incontro nella sala
delle feste della moschea di Omran, quartiere popolare periferico, al quale
hanno partecipato circa cinquecento persone (attirate dalla proposta
politica, ma anche dalla distribuzione gratuita di casse d’acqua da parte
dei militanti del partito). C’erano tante famiglie venute dai casermoni
circostanti. Tante donne velate, ma anche molte senza il velo. Ad aizzare
maggiormente la folla, più che le promesse in materia economica e sociale,
è il richiamo diretto alla religione. Ci sono stati anche alcuni episodi di
intolleranza da parte degli islamici, come non se ne vedevano da molto
tempo. Dopo decenni di repressione del sentimento religioso, nella base
tunisina sta tornando a soffiare forte il vento dell’islam.

Elezioni Tunisia: i risultati ufficiali dello scrutinio

Pubblichiamo un lungo servizio del giornale "Il Mediterraneo"

TUNISI- E’ ufficiale il partito islamista tunisino Ennahdha ha vinto le elezioni con il 41,47 per cento dei voti espressi, nove mesi dopo il rovesciamento del regime ventennale di Zine el Abidine Ben Ali.
Ecco i risultati delle elezioni dell'Assemblea Costituente annunciati questa notte dal presidente della ISIE, Kamel Jendoubi, e diffusi dall'agenzia di stampa tunisina TAP:
Ennahdha : 90 seggi (41,47%)

CPR: 30 seggi (13.82%)

Ettakatol: 21 seggi (9.68%)

Pétition populaire: 19 seggi (8.76)

PDP: 17 seggi (7,83%)

PDM: 5 seggi (2,3%)

El Moubadara partito (l'initiative): 5 seggi (2,3%)

Afek Tunes: 4 seggi (1,84%)

El Badeel Etthaouri: 3 seggi (1,32%)

MDS: 2 seggi

Mouvement des patriotes démocrates: 2 seggi


Le seguenti liste avranno un solo seggio all'Assemblea Costituente formata da 217 membri:
Parti culturel unioniste de la nation "El Oumma"
Mouvement du peuple
Parti libéral maghrébin
Liste l'indépendant
Liste la voix de l'avenir
L'union patriotique libre
Anidhal progressiste
Anidhal social
Parti justice et équité
Chams Al Aridha
Liste pour un front patriotique tunisien
Mouvement du peuple unioniste
Liste la justice
Liste fidélité aux martyrs

Ghannouchi: “Continueremo questa rivoluzione”
Dopo l’annuncio ufficiale di Ennahdha, il suo leader Rachid Ghannouchi ha dichiarato: "Continueremo questa rivoluzione, continueremo a realizzare gli obiettivi di una Tunisia che è libera, indipendente. Una Tunisia che crescerà giorno dopo giorno in cui i diritti di Dio, del Profeta, di donne, uomini, religiosi e religiose non saranno solo gli unici ad essere assicurati perché la Tunisia è di tutti”.
Ennahdha, vietato sotto il regime di Ben Ali, ha registrato a marzo un aumento di consensi anticipando la sua vittoria.
La nuova assemblea deciderà sul sistema di governo del Paese e come garantire le libertà fondamentali, compresi i diritti delle donne.
Gli analisti dicono che Ennahdha, sarebbe in grado di "dettare" il suo programma all'assemblea, ma per placare i suoi avversari ed evitare che i suoi interlocutori possano ritenere il partito non moderato, ci sarà un tavolo di discussione dove si deciderà insieme il futuro della Tunisia sia per acquistare credibilità agli occhi della comunità internazionale sia per favorire nuovamente gli investimenti esteri e il turismo, principale fattore che ha contribuito in questi anni alla crescita del Paese.
I partiti di sinistra dovranno ancora cercare di formare un blocco di maggioranza contro Ennahdha.
Le osservazioni del Primo Ministro
Beji Caid Sebsi, l'attuale primo ministro, ha fiducia nella nuova Tunisia. In un’intervista rilasciata al quotidiano egiziano Al-Ahram ha detto che non c’era ragione di dubitare dell'impegno di Ennahdha e delle laicità dello Stato e della democrazia.
"Non posso giudicare le intenzioni di Ennahdha. Posso solo giudicare ciò che è pubblico e finora il lavoro svolto è positivo. Penso che i suoi esponenti affronteranno in modo intelligente la realtà. La Tunisia continuerà ad andare avanti e non andrà contro la storia", ha concluso Sebsi.

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata", 16 maggio 2012, libreria N'Importe Quoi, Roma

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata", 16 maggio 2012, libreria N'Importe Quoi, Roma
Ilaria Guidantoni insieme all'attore teatrale Giuseppe Bisogno, che ha curato le letture, e al musicista Edoardo Inglese, autore di una selezione di brani musicali

"Tunisi, taxi di sola andata" a Milano, 19 aprile 2012

"Tunisi, taxi di sola andata" a Milano, 19 aprile 2012
Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata a Milano", libreria Milano Libri. Insieme all'autrice, Ilaria Guidantoni, il presidente del Touring Club Italiano, Franco Iseppi, e Laura Silvia Battaglia, inviata esteri di Avvenire. Letture a cura dell'attore Michele Mariniello

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata", libreria N'Importe Quoi di Roma, 13 aprile 2012

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata", libreria N'Importe Quoi di Roma, 13 aprile 2012
Ilaria Guidantoni ospite di RADIOLIVRES, con Vittorio Macioce, caporedattore de' Il Giornale, ed Edoardo Inglese,"musicante", in una serata di parole e musica

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata" presso il Rotary Club di Marina di Massa, 29 marzo

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata" presso il Rotary Club di Marina di Massa, 29 marzo
L'autrice tra Lorenzo Veroli, il Segretario del Club e Chiara Ercolino

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata" presso la libreria Griot di Roma, 28 marzo 2012

Presentazione di "Tunisi, taxi di sola andata" presso la libreria Griot di Roma, 28 marzo 2012

Presentazione "Tunisi, taxi di sola andata", Roma, Sala stampa Camera dei Deputati, 28 marzo 2012

Presentazione "Tunisi, taxi di sola andata", Roma, Sala stampa Camera dei Deputati, 28 marzo 2012
Insieme all'autrice, Ilaria Guidantoni, l'on. Elisabetta Zamparutti (Radicali Italiani) e il giornalista tunisino Salah Methnani, inviato di Rainews24

Giovedi 1° marzo 2012, alla Centrale Montemartini di Roma, dalle ore 18.30 presentazione di "365D"

Giovedi 1° marzo 2012, alla Centrale Montemartini di Roma, dalle ore 18.30 presentazione di "365D"
Marzia Messina, ideatrice del progetto e realizzatrice per "Prima che sia buio" della foto dell'autrice

Il fotografo di 365D Sham Hinchey

Il 29 agosto di 365D

Con Raffaella Fiorito, mia vicina di calendario

Presentazione di "Prima che sia Buio", Galleria d'arte Barbara Paci, Pietrasanta, 16 Luglio 2011

Presentazione di "Prima che sia Buio", Galleria d'arte Barbara Paci, Pietrasanta, 16 Luglio 2011

Metti una sera d'estate, prima che sia buio...

"Prima che sia buio" incontra l'arte alla Galleria Barbara Paci di Pietrasanta

Ilaria Guidantoni e Barbara Paci

La scrittrice con i genitori

La scrittrice tra Daniela Argentero e Barbara Paci

La scrittrice tra gli amici

Leggendo "I giorni del gelsomino" con il pittore Agostino Rocco

Leggendo "Colibrì"

L'autrice con Agostino Rocco

A Jorio, dedicato a Pistoia, alla Toscana e a una città d'arte

Tra Firenze e Pistoia

Con il pittore Agostino Rocco tra parole e immagini